Monday, November 26, 2007

Il mio primo discorso da presidente del mondo.

Non mi piace il lavoro.
Non mi è mai piaciuto, e questo l'ho sempre saputo.
Nonostante il mio lavoro mi appassioni, nonostante sia quello che, in parte, io abbia sempre desiderato fare.
Trovo che utilizzare cinque giorni su sette della propria vita per lavorare, dedicare questo tempo (troppo tempo) ad un obiettivo fondamentalmente estraneo al nostro, sia troppo. Specialmente se spesso ciò che si riceve in cambio sono solo dei soldi. E spesso anche pochi soldi. E spesso anche in ritardo. E spesso senza rispetto. E spesso, anche, con un contratto instabile. Già. Perchè l'unica cosa a cui spesso ci aggrappiamo per riuscire a giustificare l'investire così tanto tempo in un'unica attività è il poter dare sicurezza e certezza a qualcun altro. Ai figli, alla compagna o più in generale alla famiglia. Ed ora, pare ci abbiano levato anche quello.

Il nostro sistema non è in grado di mantenere i nostri vizi e siamo diventati succubi come un adolescente è succube dei propri genitori ed i propri genitori sono succubi dei vizi dei propri figli. E' un sistema genitore-figlio quello in cui viviamo, in cui il nostro genitore-sistema per continuare a mantenere i nostri vizi, è costretto a rubare. E mentre i nostri genitori rubano allo stato, evadendo le tasse, per mantenerci il vizio del cellulare, la discoteca, la cocaina, il nostro sistema ruba al resto del mondo, per avere automobili nuove, opulenza, la tecnologia, il petrolio, le megalopoli e l'inflazione. Sì, l'inflazione. Perchè più denaro entra nel nostro sistema, e più decresce il suo valore. E così i prezzi crescono. Le case, il cibo, gli svaghi, tutto costa molto di più. Lavoriamo uguale e guadagnamo uguale ma rubando sempre di più. La tecnologia avanza e questo ci dovrebbe aiutare a lavorare meno, invece l'unica differenza è lavoriamo facendo meno fatica fisica. Forse lavoriamo meglio, ma non certamente di meno. Molti anni fa, ognuno produceva a mano ciò che gli serviva per sussistere, con l'avvento delle macchine, avremmo potuto smettere di lavorare e far produrre ad esse ciò che ci sarebbe servito per sussistere, dedicando il nostro tempo a ciò che più ci avrebbe avvicinato al divino, alla perfezione: l'arte. Ma non era quello che volevamo. Abbiamo lottato tra di noi per guadagnare di più del prossimo, anzichè lottare insieme al prossimo per lavorare meno.

Tutto questo per farvi capire che a me lavorare fa schifo. Perchè non è vero che lavorare nobilita l'uomo, perchè non è vero che l'uomo senza un lavoro è un uomo umiliato. Quello è l'uomo privo di uno scopo. E se questo scopo, è solo guadagnare due spiccioli a fine mese donando più del 70% della propria vita, beh, questo sì, permettetemi di dirlo, è umiliante. Prendete un plurimiliardario qualsiasi, prendete una persona con una grande fama o un enorme potere. Prendetelo e chiedetegli, quando sarà diventato vecchio, quanto del suo patrimonio, quanta della sua fama o del suo potere sarebbe disposto a sacrificare per vivere un anno, o anche un solo mese in più.

Ogni giorno, con grande forza di volontà, io cerco di ricordare quanto vi ho appena detto. Cerco di ricordarlo affinchè non mi abitui a pensare che tutto ciò sia normale e che davvero non si possa far nulla per cambiarlo. Per non abbellire la mia cella. Eppure qualcosa sfugge, e ieri il laptop, oggi l'iPod, domani l'automobile nuova. Mille altri fiorellini costellano la mia cella e finisco perfino per domandarmi se riuscirò ad uscirne, quando e se, un giorno finalmente la mia porta sarà aperta. Ecco, questo penso del lavoro. E penso che mai cambierò idea.

Ma nel frattempo, se io devo stare a questo gioco, per mantenere la mia famiglia, per rendermi indipendente, per non soccombere, beh, non voglio stare sotto. Ma non perchè io abbia sete di potere, o fame di gloria, ma solo perchè non mi fido di ciò che potrebbe fare un altro al mio posto. Voglio lottare per poter dire la mia, per poter cambiare qualcosa, per cercare di fare le cose nel modo che io ritengo più giusto e più adatto alle mie esigenze, conciliandole e basandole su quelle degli altri. Ora ho la possibilità di farlo, o almeno l'illusione che sia così. E voglio crederci, voglio credere che il mio lavoro possa davvero essere utile a qualcuno, anche solo per farlo lavorare meglio e fargli pesare meno il dover lavorare. E sarà questo il mio compito, sarà questo il mio obiettivo.

E che nessuno pensi che questo sia un subire il sistema. Subire il sistema sarebbe giocare sporco, sgomitare, lavorare senza etica o senza rispetto del lavoro altrui, umiliando o rimanendo impassibili difronte al tentativo altrui di umiliarci. Cosa c'è infatti di più triste che perdere l'umanità, il rispetto e l'umiltà, per il lavoro? Per guadagnare due, trecento euro in più? Ma anche se fossero mille o diecimila, non varrebbe comunque la pena. Quella condizione, sì, sarebbe umiliante. Trasformato in essere senza pietà e senza etica. Privato non solo della propria vita, ma anche della stessa umanità. Cosa rimarrebbe di me?

Ed è per questo che fino a quando dovrò lavorare, io voglio lavorare bene per lavorare meglio, affinchè se proprio io debba essere schiavo, io non lo sia del sistema, ma dei vostri bisogni.

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2 Comments:

Blogger NDSTR said...

Sono con te !

11:06 PM  
Anonymous IlGattoHaNuoveCode said...

Basta con questa morale cattolica, spero vengano libici e tunisini a portarci un po' di laicità (dato che sono meno infusi di religione di noi).
Che popolo di merda.

9:56 PM  

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